Sull’esclusione di uno studente con disabilità dal liceo “Dante” di Firenze.
È notizia di questi giorni che allo storico liceo “Dante” di Firenze è stata respinta l’iscrizione ad uno studente con disabilità. Questo fatto è diventato noto grazie alla famiglia, che ha deciso di denunciare a mezzo stampa l’accaduto. Il figlio avrebbe voluto frequentare l’indirizzo musicale, ma, a detta della presidenza, questo non sarebbe stato possibile, perché la scuola non sarebbe fornita del personale specifico per seguire il ragazzo. Non stiamo parlando dei docenti di sostegno ma degli assistenti igienico-sanitari e degli OSS che nelle nostre scuole sono spesso dei miraggi.
Quello che la denuncia di questa famiglia porta a galla è una certa prassi, tutta informale, che le scuole attuano per respingere gli studenti con disabilità. Telefonate, colloqui, mezze frasi, “ma forse ci sono scuole più adatte alle sue esigenze”. Succede così che, senza bisogno di scomodare i Galli della Loggia, già nella prassi si riproducono logiche di separazione e di esclusione, con tanta pace della “scuola aperta a tutti” della nostra costituzione.
Chi scrive non è certo innamorato delle leggi e dei regolamenti che troppo spesso soffocano la nostra scuola. Ma le lotte del passato ci hanno anche lasciato in eredità delle conquiste legislative. La legge 104/92 prevede, tra le altre cose, l’obbligo per l’ente locale di fornire assistenti alle scuole, su richiesta di queste.
Il fatto che il vicepreside affermi candidamente ai giornali che il liceo “non abbia il personale” adeguato ha quindi dell’incredibile. La scuola che dirige non è una scuola pubblica? Risponde forse a regole diverse dalle altre? La scuola ha l’obbligo, se non per convinzione e spirito inclusivo, perlomeno de iure di adattarsi alle esigenze dei propri alunni con disabilità. Tutto questo, in un mondo normale, avrebbe dovuto smuovere qualcosa al provveditorato, provocare le dimissioni della presidenza, far drizzare le antenne alla procura… Quando sono i presidi a commettere illegalità questo non scandalizza nessuno, ma se la commettono gli studenti, magari per protestare contro la mala gestione della presidenza e della città metropolitana, proprio come è successo all’Alberti-Dante il mese scorso…
Il caso del liceo “Dante” evidenzia in realtà le diverse velocità con cui si muove la scuola italiana in tema di inclusione, in primis perché le famiglie di alunni con disabilità sono spinte in istituti ritenuti più “laboratoriali”, come professionali e artistici, piuttosto che verso i percorsi liceali. La cosa potrebbe sembrare di buon senso, ma il rischio, tuttavia, è quello di approfondire il solco che divide il sistema italiano, con scuole tecniche e professionale dove si concentrano disabili (si tenga presente che la maggior parte di questi studenti, oltre il 40%, presenta delle disabilità intellettive, l’altro 30% di tipo psicologico), ragazzi stranieri, i cosiddetti BES, ecc.
Inoltre, che i ragazzi con disabilità si trovino meglio con una didattica “manuale” è spesso un luogo comune, o quantomeno questo è valido per tutti gli studenti. Sarebbe allora forse il caso di ripensare la didattica in senso generale, ancora oggi separata tra scuole del sapere “disinteressato” e scuole professionalizzanti. Ai licei scientifici, ad esempio, i laboratori non mancano, come del resto non mancano al liceo Dante, che, tra l’altro, è anche un liceo musicale. Sono le scuole che devono attrezzarsi per le esigenze dei propri studenti e non il contrario, anche i licei classici!
Lavorando al liceo in questione ho assistito a vari fatti che mostrano l’assenza di una cultura dell’inclusione: ragazzi a cui si chiede di uscire dall’aula con il docente di sostegno perché “se parlate non riesco a far lezione”, docenti di musica che si rifiutano di insegnare a ragazzi con disabilità perché “non ho le competenze”, un ragazzo che addirittura si voleva escludere dalle gite appellandosi a cavilli burocratici. Insomma, tutti quei docenti che “non sono abilista ma…”. Bisogna essere onesti nel dire che spesso gli insegnanti di sostegno non sono la soluzione ma parte del problema, perché riproducono logiche o di separazione, o di assistenzialismo, oppure di semplice lassismo. Sappiamo anche che non basta portare i ragazzi con disabilità in classe per dire di aver fatto inclusione e che la questione è in generale molto complessa.
Al liceo Dante, è doveroso dirlo, esiste un dipartimento di sostegno (ma anche tantissimi docenti curricolari) che si impegna quotidianamente per costruire una scuola migliore per tutti, senza esclusioni. Questa parte, che si è da subito dissociata dal fatto, si trova a combattere contro una dirigenza al limite del vessatorio, che sa opporre alla propria negligenza solo autoritarismo. Una presidenza che utilizza i ragazzi con disabilità solo quando gli fanno comodo, cioè per raggiungere il numero legale alla formazione delle classi in un liceo sempre più in crisi di iscrizioni.
In alcuni paesi europei la carica del preside è una carica elettiva che ruota tra tutti i docenti. Un tempo si parlava anche in Italia di elezioni del preside/dirigente tra i docenti del collegio, cosa che forse farebbe tornare i presidi a parlare di didattica piuttosto che darsi arie da manager. Sarebbe l’ora di tornare a parlarne.
Un docente di sostegno