Grazie al caldo soffocante di luglio e alle poche energie rimaste per dedicarsi a una vita attiva, possiamo impiegare il tempo a riflettere sulla nostra autorevolezza di docenti secondo il ministro Valditara.
Il 12 luglio, infatti, alla Camera è stato approvato un provvedimento riguardante la scuola che entrerà in vigore da settembre e che promette di ridare autorevolezza al ruolo del docente.
Ci aumenteranno gli stipendi? Creeranno un sistema chiaro e comprensibile per accedere all’insegnamento? Ci aumenteranno le ore di compresenza? Ridurranno il numero di alunni per aula?
NO.
L’autorevolezza di cui parla il ministro assomiglia più a un marciare al passo dell’oca, manca solo l’introduzione del saluto alla bandiera la mattina prima di entrare in aula (ma evidentemente costava troppo).
Tre articoli di un provvedimento che poco hanno a che fare con l’autorevolezza ma che hanno molto a che fare con l’autoritarismo e una certa dose di paternalismo.
Punto primo: abolizione dei giudizi descrittivi alla primaria (pare che Salvini li trovasse poco chiari a dimostrazione che non sono gli studenti ad avere problemi a superare un test invalsi), sostituiti dai cosiddetti giudizi sintetici (i vecchi buono, sufficiente, ottimo ecc) tornando all’idea che il voto (come rinforzo positivo) e non una valutazione descrittiva che orienti il bambino a comprendere e gestire meglio i suoi apprendimenti sia l’orizzonte della scuola italiana. Ma d’altronde a noi la Montessori ci piaceva per farla apparire una nonnetta adorabile sulle vecchie mille lire mica per scomodarsi a leggere quello che scriveva.
Punto secondo: il voto in condotta. Quel momento in cui in ogni consiglio di classe vengono fuori gli istinti più reazionari e punitivi elevato a sistema. Facciamo una premessa: a oggi il voto di condotta fa già media e già si può bocciare per un 5 in condotta (salvo che il 5 in condotta è attribuibile solo in determinati e gravi casi) e già oggi i criteri per l’attribuzione di tale valutazione numerica sono vaghi, poco chiari, arbitrari; basti pensare che uno dei criteri dovrebbe essere la partecipazione alle attività dell’aula, ma spesso uno studente che in classe fa la statua ma non disturba nessuno si trova con un voto finale molto più alto di un altro che partecipa attivamente, ma ha l’abitudine di chiacchierare con il compagno o trova ragionevole fare un po’ di polemica sulle cose che ritiene sbagliate.
Nel provvedimento si legge che “solo se il voto di comportamento assegnato sarà pari o superiore a nove decimi sarà possibile assegnare il punteggio più alto nell’ambito della fascia di attribuzioni del credito stesso” ovvero si potrà aspirare alla massima votazione all’esame di stato solo con un voto in condotta pari a 9 o 10.
Ci sono poi tutta una serie di “idee” (perché ad oggi non sono definibili altrimenti) che riguardano le sospensioni secondo le quali lo studente con una sospensione maggiore ai 2 giorni dovrà impegnarsi in un percorso sociale fuori da scuola (nel terzo settore insomma) deciso dall’istituzione scolastica così come chi riporterà una votazione di 6/10 in educazione civica.
“Pensiamo a periodi di lavoro nelle mense dei poveri, negli ospedali, nelle case di riposo” dice il ministro per precisare che lui non vuole portare avanti una logica punitiva (come ci è venuto in mente?), ma di responsabilizzazione, solo che il volontariato dovrebbe nascere da un’esigenza personale, da una voglia di aiutare gli altri non da una punizione. Consigli di classe trasformati in piccoli tribunali, insomma.
Molti docenti, fra cui io, cerchiamo sempre, quando ci troviamo a dover emettere un provvedimento disciplinare, di scongiurare l’idea che il destinatario del provvedimento stia a casa a non fare nulla per tot giorni invece di venire a scuola, soprattutto perché, molto spesso, i destinatari di tali provvedimenti sono ragazzi a rischio di abbandono scolastico e/o con situazioni familiari complicate, quindi anche per molti docenti sinceramente democratici può apparire migliore una legge che impone dei lavori socialmente utili rispetto al semplice allontanamento dalla scuola. Sto parlando soprattutto di quei docenti che lavorano in scuole attraversate da una componente studentesca che mette in campo atteggiamenti problematici o che rende difficile il regolare svolgimento delle lezioni. Questi colleghi vivono la vita d’aula in modo diverso dagli insegnanti di un liceo e molto più spesso si trovano a dover gestire situazioni oggettivamente complicate. Ed è proprio a loro che Valditara strizza l’occhio con questi incubi di mezz’estate cercando di convincerci che la disciplina risolverà tutti i nostri problemi.
Nella visione del ministro il rapporto docente-studente è una specie di guerra in cui gli studenti hanno come obiettivo “distruggere le nostre scuole” secondo le parole degli esponenti della maggioranza in aula e i docenti sono l’argine a tale barbarie.
Ma questo può essere un modello sano di vita scolastica? La nostra immaginazione e competenza non riesce a pensare qualcosa di meglio? Una scuola che metta al centro un’educazione democratica e un’alleanza fra docenti e studenti non la riusciamo proprio a costruire?
L’autorevolezza deriva da competenze, serietà e relazioni di fiducia non dal diventare educatori con il moschetto.
Come possiamo pensare che la scuola risolva i problemi che la società non vuole risolvere? Se il modello delle nostre città è creare quartieri ghetto dove convogliare le situazioni di disagio economico e sociale, come potrebbero mai essere diverse da una scuola ghetto le scuole di tali quartieri?
Punto terzo: misure a tutela dell’autorevolezza e del decoro delle istituzioni e del personale scolastico. Questo articolo introduce il principio secondo cui se avvengono reati commessi a danno del personale scolastico, oltre alla condanna penale, gli studenti autori di tali reati dovranno pagare alla scuola una somma dai 500 ai 10.000 euro come riparazione.
Insomma, quello che interessa è il danno d’immagine non il fatto in sé.
Ma d’altronde l’apparenza è ciò che caratterizza per intero questo provvedimento che è tutto incentrato a regolare questioni di forma che poco hanno a che vedere con la sostanza.
È tutto in quelle parole pronunciate dai banchi della maggioranza alla camera “gli studenti che distruggono le nostre scuole”. Le scuole non sono nostre, sono in primo luogo degli studenti, sono fatte per loro, per accompagnarli nel loro percorso di crescita e di autonomia. Se gli studenti distruggessero le scuole ci dovremmo interrogare sul perché le vivano come luoghi ostili e nemici tanto da volerle distruggere.
Quella che si afferma all’orizzonte è una partita che determinerà il modello di scuola che vivremo nei prossimi anni: o avremo la forza di imporre un modello di scuola che riparta da un’alleanza fra studenti e docenti o ci troveremo a marcire al passo dell’oca (come dicevano i Wu Ming in un vecchio articolo)