C’è un dato che spesso in classe ricordiamo quando proviamo a spiegare cosa sia stato il fascismo e
soprattutto cosa lo abbia reso possibile: il numero dei professori universitari che nel 1931 si
rifiutarono di prestare il giuramento: “alla Patria e al Fascismo” e che per questo persero la loro
cattedra. Quel numero è: dodici. Solo dodici. Dodici professori con storie di vita in verità piuttosto
ordinarie, che ci ricordano che, come avrebbe canticchiato Calvino scendendo dai monti oltre
vent’anni dopo: “l’eroismo non è sovrumano”. A noi, colleghi, per opporci alla barbarie in cui
vediamo scivolare il mondo intero, è richiesto molto, molto meno. O meglio, è richiesto qualcosa di
diverso: un nuovo protagonismo, nelle nostre classi, nei nostri organi collegiali e infine nella nostra
società. Il lavoro da fare è enorme, ma non è più rimandabile e segue fondamentalmente due
direttive. La prima è di opporsi, personalmente, culturalmente e infine pubblicamente alla
ristrutturazione della scuola che vediamo ogni giorno portata avanti. L’impianto ideologico che
sottostà a tale ristrutturazione deve essere smascherato e osteggiato. Ogni tassello di questo
sconsiderato puzzle merita e meriterà una trattazione a sé, ma chiunque abbia anche solo sbirciato
le linee guida dell’educazione civica, le nuove indicazioni nazionali o ascoltato le varie prese di
posizione di Valditara, sa a cosa ci riferiamo. Quella voluta è una scuola classista e individualista,
come del resto non poteva non essere, essendo disegnata da chi ha scelto: “dell’istruzione e del
merito” come nomenclatura per il proprio ministero. Dove il merito principale sembra l’esser nati in
una famiglia agiata, italofona e con una buona previdenza privata. Una scuola sessista, che dice in
termini vaghi di voler combattere la violenza di genere (“proteggere le donne”, ed ecco una nuova e
inaspettata parola d’ordine), dimenticandosi però di omofobia e transfobia, ma che osteggia
quell’educazione sessuale e affettiva che è già obbligatoria in venti Paesi europei.
Una scuola razzista, che miope di fronte alle necessità di una società sempre più multietnica punta
tutto su una logica assimilazionista nei confronti di tutti gli studenti con background migratorio
(bibbia, latino e patria. Ed ecco le altre immancabili parole d’ordine). Suprematismo dell’occidente e
paternalismo sono del resto due dei principali cardini del saggio dei due prediletti “teorici” del
ministero, Perla e Della Loggia, e che già dal titolo è, letteralmente, tutto un programma: “Insegnare
l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo”.
Nazionalismo e scontro di civiltà insomma, che il novecento credevamo avesse insegnato essere la
causa diretta di quanto più spaventoso possa esserci: la guerra.
L’altra direttiva sulla quale attivarci è infatti proprio questa, la guerra. Sta a noi combattere la
cultura che la vuole, che la finanzia, che ci specula e che la presenta come ineluttabile; che sta già
cercando di far passare i pacifisti come traditori: della patria, dell’Europa e della razza, pardon, della
nostra cultura. Proprio quella cultura che fa candidamente dire al cancelliere tedesco Merz che:
“Israele sta facendo il lavoro sporco per l’occidente”. Non possiamo rientrare in classe e far finta
che non esista la resistenza e il massacro del popolo palestinese. Parliamo, discutiamo, spieghiamo,
sosteniamo chi si attiva (in primis i nostri studenti), mobilitiamoci in prima persona.
Sta per suonare la prima campanella, riprendiamo i nostri posti. Non quelli però di annoiati
divulgatori strozzati dalla burocrazia, che anzi dovremmo cominciare a boicottare almeno nelle sue
manifestazioni più inutili, ma quelli di educatori e di soggetti pensanti che hanno a cuore la cosa
pubblica. Esponiamoci in classe, esponiamoci con il collega che parla di meritocrazia, esponiamoci
se una studentessa parla di sessismo a scuola, esponiamoci nei collegi e nei dipartimenti, prendiamo
una chiara posizione contro la politica genocida di Israele e la morte del diritto internazionale. Se
lasciamo che tutto questo divenga una nuova normalità, quale futuro avremo contribuito a costruire?
Non sentiamoci soli, non sentiamoci impotenti: non lo siamo.
Buon inizio anno e buon lavoro.
