Ci siamo presi qualche giorno di riflessione prima di prendere parola sul video, divenuto virale, che riprende alcuni agenti palermitani aizzare un cane e sparare a salve contro un immaginario malfattore. Il tutto in una scuola di Palermo, di fronte a classi di infanzia e primaria, quindi bambini che vanno dai 3 ai, massimo, 10 anni. Anche se le bambine e i bambini non si vedono nel filmato, se ne sentono chiaramente le urla e i pianti e si percepisce nitido il terrore dei più piccoli.

https://www.lastampa.it/cronaca/2024/11/15/video/palermo_agenti_sparano_a_salve_e_simulano_un_arresto_alla_scuola_materna_bimbi_sotto_choc-14809286/

Quanto avvenuto rientra in un più ampio progetto sull’educazione e la sicurezza stradale ed è proprio di questo che vogliamo parlare. Questo tipo di progetti infesta oramai da anni le nostre scuole e, quando va bene, si realizzano in un pugno di ore sprecate e sottratte alla didattica, che al massimo riescono a infliggere a bambine e bambini noiosissime sessioni di terrorismo su come si attraversa la strada senza morire o quanto le cinture di sicurezza siano l’unico mezzo per sopravvivere su un pulmino (poi poco importa che la maggior parte dei pulmini siano più vecchi persino dei genitori degli alunni che trasportano e non abbiano mai visto una cintura di sicurezza nemmeno nel progetto). Quando invece va male, tali iniziative sottopongono alunni e corpo docenti a scene riprovevoli in cui la violenza diventa elemento centrale. Casi come quello sopracitato li abbiamo già visti quando sono stati proposti giochi con i manganelli, simulatori di aerei da guerra, ecc.

Insomma, più che educazione stradale, volontà di far familiarizzare il mondo dei più piccoli con una quale che sia divisa con ben poca educazione alle spalle.

Nemmeno i gradi superiori di istruzione si salvano da questo nuovo scempio. Là dove si è troppo grandi per parlare, almeno sulla carta, di cinture di sicurezza e segnali stradali, la divisa viene presentata nella scuola come soluzione ad ogni male. Bullismo? Polizia. Assunzione di sostanze? Finanza. Alcolismo? Carabinieri. Insomma, ad ogni male la sua divisa; che però non si preoccuperà di analizzare con studentesse e studenti quali siano le cause di certi comportamenti e come si possono riconoscere, contrastare e magari, perché no, risolvere con un percorso di guarigione collettivo. No: l’unica risposta che verrà data in queste “lezioni” sarà quella di spiegare bene a quali punizioni si va incontro se si infrange la legge. In pratica il ruolo della scuola in quelle ore si sospende e al suo posto emerge un unico e chiaro insegnamento: “non ci interessa indagare le cause e cercare delle soluzioni. Se infrangi le regole, vieni punito”. Molto coerente con chi sostiene che l’umiliazione sia pratica pedagogica, con buona pace di mezzo secolo di pedagogiste e pedagogisti.

Però questa è la stessa scuola che grida al trauma se a bambine e bambini si parla di educazione sessuo-affettiva; se si cerca di lavorare sul consenso e sul riconoscimento delle emozioni; se si smette di fingere che nelle nostre classi non esistono figlie e figli di coppie omogenitoriali.

Ma di cosa stiamo parlando?

Da quando parlare di affettività, sessualità e inclusione è diventato traumatizzante, mentre costringere bambine e bambini di pochi anni ad assistere a un cane che attacca o colpi di arma da fuoco esplosi è educativo? Da quando parlare ad adolescenti o preadolescenti del fatto che esistono varie forme di famiglia, di consenso e di affetto è violento, mentre è formativo provare a convincerli che qualunque gesto extralegale compiano è peccato mortale, con il corollario della pena e della stigmatizzazione?

Non ci serve l’ennesimo caso limite per avere ben chiaro che nelle scuole debbano starci le e i docenti e non chi ha scelto di portare una divisa. Questo tipo di ingerenze non vanno regolate, vanno proprio abolite. A ognuno il suo spazio: insegnanti a scuola, corpi armati in caserma.

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