Le famiglie italiane sono in grande difficoltà.
No, questa volta non si tratta del solito titolone di un articolo del “Sole 24 ore”
o di qualsiasi altra testata nazionale corroborato da dati astratti, grafici statistici
e freddi calcoli matematici. Questa volta si parla di vita reale, delle
conseguenze di un disagio economico che mette in pericolo in modo
particolare il futuro dei nostri giovani. Si parla concretamente della
conseguenza di decenni di politiche fortemente discriminatorie nei confronti
delle nuove generazioni, e, in particolare, nei confronti del loro diretto accesso
ad un’istruzione pubblica e veramente formativa.
L’anno scolastico 2024/2025 è iniziato con una spiacevole sorpresa per gli
studenti dello storico “Istituto professionale alberghiero e tecnico agrario
Francesco Datini di Prato”. Il fulcro portante su cui si basa l’apparato formativo
della scuola, le attività laboratoriali, è stato messo in stand-by a causa della
mancanza di fondi per l’acquisto dei prodotti alimentari utili per le attività
pratiche della cucina. Come accade ormai da alcuni anni, le materie prime
vengono acquistate grazie a un contributo volontario di 150 euro che viene
richiesto alle famiglie per sopperire all’inadeguatezza delle risorse stanziate dal
governo. Ogni anno però, le famiglie che decidono di pagare questo contributo
sono sempre di meno. Le difficoltà economiche dovute al caro affitti,
all’aumento dell’inflazione, ai salari che non crescono, al lavoro sempre più
instabile e precario, hanno portato a una drastica conseguenza: quest’anno, in
alcune classi, il contributo volontario è stato pagato soltanto da circa il venti
per cento dei genitori. Ebbene si è arrivati a questo increscioso paradosso: le
lezioni di cucina si svolgono in classe.
Tendenzialmente gli studenti dell’istituto non sono mai stati molto inclini alla
lotta. Erano decenni ormai che non si assisteva nel plesso ad uno sciopero, una
manifestazione o un’occupazione, ma durante quest’ultima settimana qualcosa
è cambiato. Nelle classi si vociferava dello sciopero nazionale degli insegnanti e
tra gli alunni ci si chiedeva: “Perché loro sì e noi no?”
E allora alcuni professori hanno accantonato per un attimo i libri e hanno
ascoltato i ragazzi. Nelle classi si è parlato del valore e della storia dello
sciopero, dell’importanza della rivendicazione e della partecipazione, del diritto
al dissenso e dell’articolo 21 della costituzione. I ragazzi sembravano spiazzati,
attoniti, disomogenei. Qualcuno accusava chi non aveva pagato il contributo
volontario di essere il responsabile di questa situazione. Qualcun’altro
rimaneva indifferente, inerte, avulso, convinto che l’unica soluzione consisteva
nell’attesa di qualche coscienziosa decisione degli adulti. In molti però hanno
deciso di grattare la superficie… hanno capito che la responsabilità di questa
situazione non è di chi non ha pagato il contributo volontario, ma di chi ormai
per anni ha deciso di non investire più in maniera adeguata sull’istruzione
pubblica, di chi sostiene che ormai l’uomo è uomo in quanto individuo
autonomo e non in quanto membro di una collettività, di chi spende ingenti
somme pubbliche per fabbricare armamenti e finanziare le guerre.
E allora: sciopero contro lo stato, contro la scuola, contro gli adulti!
Mercoledì 30 ottobre, sui canali social dei ragazzi non si parla più del solito
scherzo fatto a Tizio o a Caio, della mega rissa fuori la scuola, del culo della tipa
o della storia pubblicata su “ista” dai “bro” che si sono fumati 5 grammi in
un’ora… Mercoledì 30 ottobre i ragazzi parlano di sciopero!
La voce si sparge e la scuola cerca di rimediare facendo uscire una circolare in
cui si annuncia la ripresa imminente dei laboratori. Ma è troppo tardi… il seme
della rivolta è germogliato. Il giorno seguente è una grande festa. I ragazzi sono
uniti, tutti insieme fuori ai cancelli a urlare slogan e a improvvisare flash mob.
I rappresentanti d’istituto, organizzatori della protesta, sono in visibilio. Arriva
anche la stampa… Alcuni alunni di prima e di seconda entrano mogi mogi
perché i genitori gli hanno imposto di non partecipare, ma raccolgono la
solidarietà dei più grandi. I ragazzi urlano, alzano le mani, parlano, filmano la
protesta, ridono… nessuno litiga, nessuna violenza, nessuno si droga, nessuno
bullizza, qualcuno si bacia! Sembrano liberi e felici come non li abbiamo mai
visti… e allora penso: “E’ proprio vero che, come diceva qualcuno, la libertà è
partecipazione”… Alcuni prof. “democratici” sono lì davanti a scuola con i
ragazzi, gaudenti e soddisfatti come non lo erano mai stati prima. Forse lo
scopo del loro lavoro non è solo quello di riempire scatole vuote di nozioni
astratte e fugaci, non è solo quello di valutarli, di promuoverli o di bocciarli.
Forse il vero senso del loro lavoro è quello di renderli felici grazie alla libertà di
partecipare e di sviluppare spirito critico…