conversando con Vincenzo Arte del Liceo Morgagni di Roma

di Gioia Gamerra e Riccardo Bonelli del Liceo Artistico di Porta Romana e Sesto Fiorentino

Vincenzo Arte è docente di matematica al Liceo scientifico Morgagni di Roma ed è conosciuto nelle scuole italiane perché ha avviato, insieme alle sue colleghe e ai suoi colleghi, una sezione sperimentale in cui, tra i tanti cambiamenti, la valutazione sommativa è stata sostituita da una valutazione descrittiva. Questa esperienza pilota, passata alla cronaca con il nome di “scuola senza voto”, ha avviato un dibattito nel nostro paese, anche grazie all’attenzione della stampa. Tale esperienza è stata seguita da alcuni professori universitari e ha portato Vincenzo a parlare in molti incontri promossi dalle scuole in varie parti del nostro paese e infine a scrivere un libro, “Crescere senza voti” edito da Mondadori. 

Abbiamo conosciuto Vincenzo in questi ultimi due anni, perché abbiamo provato, senza successo, ad avviare una classe senza voto anche al Liceo artistico di Porta Romana e Sesto Fiorentino. Adesso, lo abbiamo intervistato, perché siamo convinti che ci sia la necessità di riprendere quel processo di innovazione della scuola iniziato negli anni ‘70 e che oggi rischia di tornare indietro a causa di una riforma della scuola basata sul merito e sul voto in condotta. E siamo convinti che difendere il meglio della scuola pubblica, non sia difendere l’esistente, ma riprendere quello spirito e quei contenuti.

Riccardo

Siamo con Vincenzo Arte, il collega del liceo Morgagni di Roma che è stata una scuola pilota per l’avvio di un’esperienza che sicuramente avete conosciuto attraverso i giornali con il nome di “scuola senza voto”, anche se poi il corso avviato al Liceo si chiama “scuola delle relazioni” mi sembra

Vincenzo

e della responsabilità 

Riccardo

Esatto. Ecco, sempre dai giornali abbiamo saputo che c’era stato qualche problema che il corso aveva incontrato, qualche problema sorto in collegio dei docenti ad inizio anno. Ci potresti raccontare in modo sintetico cosa è accaduto?

Vincenzo

È stato deciso semplicemente che il corso non può più essere scelto all’atto dell’iscrizione. Nel senso che per un po’ di anni questo è stato un indirizzo che le famiglie potevano selezionare all’atto di iscrizione dei propri figli. Adesso, invece, si è deciso di tornare un po’ indietro, ovvero come era all’inizio, i primi 3 anni, quando la sezione non era a scelta ma ci si capitava casualmente, anche se poi i media raccontano a modo loro le cose per fare notizia. Hanno scritto che il progetto al liceo Morgagni è morto e non esiste più, in realtà continua in tutte e 5 le classi della sezione G dove è in vigore. Fra l’altro, chiunque è libero di attuare le metodologie didattiche come quelle che attuiamo noi. Quindi non è che un collega, un collegio, nemmeno un dirigente, può obbligare a non utilizzare alcune metodologie, visto che per fortuna in Italia c’è la libertà di insegnamento. Chiaramente, però, è opportuno in questi casi che tutto il consiglio di classe attui le stesse metodologie didattiche. Quindi la nostra dirigente, che da questo punto di vista è assolutamente d’accordo con noi, creerà anche nella 1G del prossimo anno un consiglio di classe dove tutti i colleghi siano disponibili ad attuare l’approccio della Scuola delle relazioni e della responsabilità. 

Riccardo

Sempre su questa prima domanda: come mai il collegio ha ritenuto di fare una scelta di questo tipo? A scuola nostra, al liceo artistico di Porta Romana e Sesto Fiorentino, avevamo cominciato a discutere di questo progetto e l’opzione della libera scelta all’atto dell’iscrizione ci sembrava giusta ed era stata messa dalla dirigente scolastica come condizione. Questo affinché non capiti sulla testa dell’alunn*.

Vincenzo

Diciamo che nel voto si sono ritrovate insieme varie anime, come succede spesso anche in Parlamento quando si vota contro qualcosa. Si sono uniti quelli che credono, per esempio, tantissimo nei voti numerici, come sistema formativo ed educativo e lo dichiarano tranquillamente, con quei colleghi che pensano che, dando la possibilità di scelta all’atto di iscrizione, la sezione venga preferita da tanti ragazzi con difficoltà particolari. È vero che noi siamo diventati famosi sul territorio come una sezione accogliente e inclusiva, e questo sicuramente ha fatto sì che le famiglie con i ragazzi in difficoltà nella scuola italiana, o i ragazzi stessi, decidessero di iscriversi lì. Tuttavia, ciò non vuol dire che venissero solo ragazzi con voti bassi dalle scuole medie. Anzi, per esempio, quest’anno eravamo assolutamente in linea con le altre classi come media dei voti. Quindi diciamo che c’è una parte di famiglie e di ragazzi che credono fortemente in queste metodologie e si scrivono lì per questo e dall’altra parte ci sono anche altre famiglie che si iscrivono perché si aspettano un po’ più di inclusività e di accoglienza.

Gioia

Mi collego a quanto hai appena detto rispondendo alla prima domanda: hai, infatti, subito spostato l’accento dalla valutazione alla metodologia didattica, dicendo che ogni consiglio di classe può decidere se adottare determinate metodologie didattiche. Questo è un argomento che ci interessa molto. Anche leggendo il tuo libro, o i vari articoli sulla vostra sperimentazione, emerge questo legame molto forte che sembra esserci fra l’uso di valutazioni descrittive e l’adozione di metodologie didattiche alternative. Durante alcune riunioni che abbiamo fatto a scuola, non tutti i colleghi e le colleghe erano d’accordo su questo: alcuni avrebbero preferito adottare una valutazione diversa però rimanendo con una didattica più tradizionale, mentre altre convenivano che ciò forse non fosse del tutto una buona idea, che, insomma, non fosse sufficiente. Ci puoi, quindi, un po’ raccontare come avete cambiato la didattica durante questa vostra esperienza?

Vincenzo

Il nostro progetto è nato come un tutt’uno: noi non siamo partiti né dall’ eliminare i voti, né dal modificare metodologie didattiche; abbiamo cercato di creare qualcosa di organico. Chiaramente di questo abbiamo discusso e discutiamo sempre anche con i docimologi della Sapienza con cui collaboriamo. In una scuola che è impostata sul voto numerico, su “ti faccio la lezione frontale, vai a casa, studi, torni, ti interrogo, fai il compito e ti valuto”, i ragazzi sono purtroppo orientati e portati a studiare solo per ottenere quello; se togli il voto numerico e cominci a valutarli in maniera completamente diversa, ma lasciando le strategie didattiche di prima, probabilmente non ottieni molto perché i ragazzi magari studierebbero ancora meno di quanto facevano prima, non prenderebbero grande consapevolezza di quello che è il loro percorso.  In quel modo andresti a incidere solo su una parte di quelli che noi abbiamo individuato come i mali della nostra scuola: l’ansia e la noia. Andresti a incidere solo sul voto, ma non levando la passività della scuola che è una delle cose che i ragazzi soffrono tantissimo. Non essere attivi, non fare le cose, li fa annoiare tanto. Dicevamo, infatti, ansia e noia: queste sono le due cose da levare. Modificando la valutazione sicuramente diminuisci i livelli di ansia, però se mantieni le stesse strutture didattiche non lavori per nulla sulla noia e, abbattendo l’ansia e lasciando la noia gli studenti rischiano di essere motivati ancora meno a studiare. Per questo, secondo me, e secondo quello che abbiamo valutato con altri, va modificato un po’ tutto insieme. Dopodiché, si può anche sperimentare solo una valutazione descrittiva, probabilmente alcune scuole lo stanno anche facendo. Quest’anno, infatti, sono partite tantissime scuole con modalità di valutazione descrittiva e io non sono convinto che in tutte siano state cambiate anche le metodologie didattiche. Magari col tempo vedremo pure quali sono i risultati.

Riccardo

Se posso sempre proseguire su questo argomento che mi sembra particolarmente interessante, perché è uno degli aspetti che noi abbiamo cercato di aggredire a scuola nostra, avrei una domanda:  proprio riguardo la didattica, che è anche programmazione comune, interdisciplinare e quindi capacità di lavorare insieme tra docenti di uno stesso consiglio di classe, cosa avete sperimentato? E’ sotto gli occhi di tutti che spesso e volentieri, nonostante qualche esempio ovviamente positivo legato molto all’iniziativa individuale, noi docenti siamo molto autarchici, se non proprio gelosi del nostro spazio di insegnamento e di rapporto con la classe. Siete riusciti a lavorare sull’interdisciplinarità?

Vincenzo

Ce lo siamo ripromessi spesso e ogni tanto ci siamo anche incontrati e abbiamo fatto riunioni apposite, però non siamo mai riusciti a impostare un vero lavoro interdisciplinare o multidisciplinare e quindi purtroppo la risposta è no. Ce lo diciamo spesso, ma non ci riusciamo perché poi le nostre energie di docenti sono quelle che sono. Già siamo oberati dai compiti che comporta l’insegnamento, dalla parte burocratica che ci invade dappertutto. Inoltre, noi ci siamo dedicati a questa innovazione didattica che ci ha sicuramente portato via tante energie e non siamo riusciti a fare quello che dici tu.

Riccardo

Passando ad un altro argomento anche se molto vicino … 

Vincenzo

Scusami, quello che abbiamo fatto, invece, che è molto vicino, è stato di studiarci a vicenda e quindi magari di entrare in classe quando insegnava l’altro. Questo l’abbiamo fatto all’interno di uno studio svolto sull’osservazione senza giudizio. Visto che volevamo fare valutazione veramente formativa sui ragazzi e poco giudicante, abbiamo lavorato sull’osservazione senza giudizio, una tecnica particolare che nel libro un po’ descrivo. Abbiamo quindi deciso di sfruttare questa esperienza che ci consentiva di entrare nelle aule l’uno dell’altro. Magari ogni tanto improvvisavamo lezione insieme o semplicemente ci osservavamo. Successivamente abbiamo mantenuto questa pratica, a livello di divertimento tra di noi, tra alcuni colleghi, magari durante un’ora di buco. Però assolutamente cose estemporanee, fatte così e non strutturate.

Riccardo

Mi sembra molto interessante e tra l’altro questo ci introduce all’altra questione che volevamo porti. Questione che è contenuta già nel nome del vostro corso, ovvero quello della relazione tra docenti e studenti (però a questo punto anche tra docenti stessi). Abbiamo visto che voi avete messo in atto anche una serie di scelte, diciamo tecniche, così per facilitare un cambiamento nella relazione e mi riferisco in particolar modo al consiglio di classe allargato o, altro esempio, alla gita di inizio anno nella classe iniziale, per favorire la conoscenza del gruppo. Ecco, questo a noi ci sembrava un argomento tanto importante quanto quello della valutazione e della didattica. Come sta andando? Come l’avete vissuta  e come la vivono soprattutto i ragazzi e le ragazze?

Vincenzo

I ragazzi e le ragazze sono entusiasti, soprattutto all’inizio, hanno 14 anni quando entrano a scuola e sono entusiasti di poter partecipare attivamente alle discussioni.  Anche se non partecipano direttamente  alle decisioni che prendiamo, in queste riunioni intervengono, perché sono vissute come riunioni di comunità, dove ci riuniamo tutti, i prof, gli alunni e i genitori. Di solito sono molto numerosi e quindi ci ritroviamo ad essere 40-50 persone, tutte insieme a discutere di come va, di cosa vogliamo fare, eccetera. Sono molto attivi i ragazzi e sono molto attivi i genitori. Soprattutto i primi anni, per esempio, questi incontri mensili ci sono stati utilissimi perché noi ci stavamo improvvisando in un percorso ancora non strutturato, senza binari da seguire, perché eravamo i primi in Italia, almeno alle scuole superiori, che facevamo cose del genere. Quindi siamo stati aiutati tantissimo dai ragazzi e dai genitori. Ritornando a come lo vivono loro, i ragazzi, sono proprio entusiasti, prendono la parola davanti a decine di persone tra cui molti adulti, sono contenti di intervenire, di sentirsi considerati. Uno dei primi feedback da parte dei genitori è che i loro figli sono contenti di venire a scuola e i genitori spesso sono scioccati di vedere questo cambiamento rispetto alle medie, quando dovevano faticare la mattina per svegliarli e mandarli a scuola. Invece vedere i propri ragazzi che vengono più contenti e sereni a scuola è un cambio. E questa è già una prima cosa positiva, perché poi se vieni contento a scuola, riesco a farti lavorare bene.  Quindi quando parlo dei cinque pilastri della nostra metodologia quello centrale è proprio questo delle relazioni. Poi, noi fermiamo la didattica sistematicamente nel momento in cui c’è una discussione da portare avanti o qualcosa di cui parlare e su cui confrontarsi e non abbiamo timore di rimanere un pochettino indietro col programma. Pur di chiarire coi ragazzi alcune cose, preferiamo parlarne. Le cose, ovviamente, non sono rigide: oggi, per esempio, una classe mi ha chiesto un’ora per l’assemblea di classe. Io ho detto loro: se avete qualcosa da discutere seriamente, fatela, se serve. Ma se è solo per saltare l’ora di matematica, visto che  è un periodo di vacanze e di ponti, e che abbiamo fatto la riunione poco tempo fa, allora meglio di no. Ho chiesto loro di parlarne e di farmi sapere. Ne hanno discusso e alla fine hanno scelto di fare lezione. Da questi incontri escono dei confronti reali e si matura responsabilità. Inoltre, vivono la scuola in modo più libero: in aula si muovono liberamente durante le tante ore in cui fanno lavori cooperativi, escono e vanno in bagno senza chiedere il permesso, insomma, si sentono un po’ più persone libere e quindi serene di portare avanti delle attività, piuttosto che animali in cattività, dentro un’aula dove obbedire sempre a un ordine che arriva dall’alto.

Gioia

C’è un’altra questione che forse, come ultimo punto, vorremmo affrontare: ci vuoi, se così si può dire, mettere in guardia sulle criticità, sui passaggi più difficili che potete aver trovato, così, se mai riuscissimo a mettere in piedi questa sperimentazione anche da noi, saremmo più preparati?

Vincenzo

Allora, secondo me le criticità maggiori sono proprio quelle tra colleghi, nel riuscire a essere all’unisono in attività del genere: spesso, infatti, magari non tutti si è convinti, alcuni fanno finta di essere convinti ma non lo sono troppo. Le criticità si creano, poi, anche tra chi partecipa al consiglio di classe del progetto e chi ne è al di fuori. Personalmente, ora che faccio incontri in tante scuole, vedo che dove ci sono insegnanti che sperimentano attività alternative, gli altri docenti del collegio tentano, in un modo o nell’altro, di osteggiare; non si capisce perché, ma non tutti sono contenti che nella propria scuola si tentino nuove strade didattiche. Alcuni, in qualche modo, si sentono un po’ intaccati nel proprio modo di insegnare: pensano che chi fa cose diverse da quello che loro hanno sempre fatto magari passa per essere innovativo, e loro, al contrario, verrebbero visti come retrogradi o antiquati, quando invece sentono di fare un’ottima scuola che ha sempre funzionato in Italia.  Invece, rispetto agli alunni, la cosa da superare con alcuni sicuramente è il fatto che, se non si ritrovano subito un 4, un 5, un 7 o un 8, essendo abituati allo studio solo per il voto, prima di entrare nell’ottica di impegnarsi ci mettono un po’; però, devo essere sincero, questi problemi in linea di massima si risolvono sempre perché piano piano lo ‘scattino di maturità’ e di responsabilità, viene fatto: se non al primo anno, al secondo, massimo al terzo… E poi sono bellissimi, anche in queste situazioni, i chiarimenti tra i ragazzi stessi: anche nel momento dei frequenti lavori di gruppo, chi fa da zavorra, chi non partecipa attivamente, spesso viene messo un po’ in mezzo nelle discussioni, viene ripreso perché alcuni, al contrario, si rendono conto di dover procedere tutti insieme, senza rallentamenti. Le varie criticità, quindi, le abbiamo superate sempre anche con questi confronti tra tutte le componenti.

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