Il giorno 26 marzo si è tenuta una grande giornata di sciopero e mobilitazione dell’intera comunità scolastica del liceo Alberti Dante. Quello dello sciopero e della protesta pubblica contro la dirigenza della scuola e il “declino dell’istituto” era una scommessa che coraggiosamente l’RSU aveva deciso di assumersi.

E la scommessa è stata vinta. Non solo perché le adesioni allo sciopero sono state altissime tra il personale docente e non docente di tutti i plessi (La sede di Magliabechi è rimasta chiusa, le altre sono state aperte solo grazie alle pressioni della dirigente, ma le aule sono rimaste pressoché vuote) ma perché l’intera comunità, fatta di famiglie e soprattutto di studenti si è riversata, in una giornata di pioggia incessante, sotto le porte dell’Ufficio Scolastico Regionale per gridare il loro “Basta!” a questa gestione della scuola.

Al centro della protesta ci sono problemi vari, di ordine sindacale e lavorativo, ma anche organizzativo e di edilizia scolastica. Solo per citarne uno, il fallimento del contratto integrativo ha fatto sì che i lavoratori e le lavoratrici stiano ancora aspettando i pagamenti dell’anno scorso (per i coordinamenti di classe, le funzioni strumentali, ecc.). Gli studenti hanno parlato di degrado amministrativo e strutturale delle loro sedi, manchevoli sotto molti punti di vista (dai bagni all’assenza di stanze per gli studenti, in particolar modo sentite dai ragazzi del musicale che hanno il rientro).
Il filo rosso che però tiene uniti tutti i punti della protesta è il mix micidiale di incompetenza e autoritarismo che caratterizza la gestione di questa dirigenza e del suo staff. Gli studenti, in particolare, hanno spiegato come ad ogni richiesta di dialogo si siano visti rispondere solo con porte in faccia e arroganza.

Era tanto che non si vedeva questo clima di unità all’interna di una scuola, dove troppo spesso vige il menefreghismo, l’indifferenza o l’individualismo, ma anche il paternalismo. Troppo spesso, infatti, si sente dire “hai problemi della scuola ci pensiamo noi adulti”, voi pensate a studiare. Gli studenti, i docenti e il personale ATA hanno invece dimostrato di avere a cuore, insieme, la loro scuola e di essere comunità.
I ragazzi delle quinte lo hanno detto più volte: noi lo facciamo per gli studenti che verranno… Sotto il palazzo dell’ufficio regionale “assediato” si sono alternati studenti, docenti e famiglie al megafono in un clima di grande parità, ascolto, solidarietà. Perché la lotta è liberatoria e finalmente si parla dei problemi apertamente, ci si guarda e ci si riconosce anche tra componenti diverse.

“Ho sentito dire la preside che la città metropolitana non ci dà spazi, l’ufficio scolastico non ci dà la DSGA, ma io una domanda me la faccio… Perché la preside non è qui in prima persona a chiedere queste cose? perché oggi si sta difendendo e non è a combattere con noi per una scuola più bella?” Parla al megafono una madre.
“In questa situazione non è possibile svolgere serenamente il proprio lavoro! Questa serenità che ci manca manca anche ai ragazzi.. quando arrivo in classe e non sto bene faccio del male anche ai ragazzi, perché non c’è apprendimento se non c’è benessere! Si deve stare bene a scuola noi e voi!” afferma a gran voce una professoressa.

Il 26 marzo questa comunità è stata capace di prendere parola e di buttare via la paura. Non è affatto scontato, di questi tempi, reagire contro gerarchie scolastiche che sembrano intoccabili. Ed è questo, al di là degli obiettivi specifici su cui è montata la protesta, il grande risultato di questa giornata di lotta. Nessun preside può dare per scontato il suo operato. La fiducia deve guadagnarsela sul campo. Perché la scuola non è del preside ma di studenti e lavorator

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