Il 23 febbraio abbiamo deciso di aderire allo sciopero generale per la Palestina ed essere presenti al corteo cittadino come docenti e lavoratori della scuola.
Sentivamo l’esigenza di prendere parola sul genocidio in corso a Gaza che, in quanto educatori ed educatrici, non può lasciarci indifferenti. Crediamo che la scuola sia un luogo di confronto e dibattito, anche e soprattutto su ciò che accade intorno a noi. Crediamo che il nostro lavoro sia prima di tutto spingere le nuove generazioni a interrogarsi, a porsi domande sul mondo che ci circonda.
Assistiamo invece da tempo a inviti più o meno espliciti, da parte del Ministero dell’Istruzione (e del merito) e dai vari organi territoriali ad esso collegati, a non parlare della situazione palestinese con i nostri studenti e le nostre studentesse. Dire che a Gaza è in corso un genocidio o anche solo mettere quest’ipotesi in campo in un dibattito è cosa evidentemente non gradita al ministro Valditara.
In prossimità della Giornata della Memoria, ad esempio, l‘Ufficio Scolastico Regionale del Lazio ha inviato una circolare ai dirigenti scolastici in cui si invitavano a sollecitare i docenti a parlare solo della giornata in sé, orientando la discussione verso connotati superficiali e favorendo attività didattiche distanti dall’attualità, senza fare paragoni con l’attualità. Tuttavia nella stessa occasione alcune scuole hanno organizzato iniziative in cui i relatori portavano avanti in modo piuttosto esplicito una propaganda sionista che giustificava e sosteneva le ragioni del genocidio in corso in Palestina.
Questo clima di censura non ci piace e non abbiamo intenzione di accettarlo; così come non piace, evidentemente, ai tanti studenti e alle tante studentesse con cui eravamo in piazza il 23 febbraio.
Clima di censura che si respira nella società italiana nel suo complesso e che le piazze di questi giorni hanno contribuito a rompere (con buona pace di quelli che “gli scioperi non servono a niente”), nonostante l’atteggiamento intimidatorio e violento messo in campo dalle forze dell’ordine.
Mentre a Firenze si voleva impedire al corteo di arrivare al Consolato Americano (che ricordiamo essere il Paese che per ben tre volte ha messo il veto in sede di Consiglio di sicurezza Onu su una risoluzione che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza) manganellando studenti e lavoratori, a Pisa un corteo composto per lo più da studenti medi è stato brutalmente caricato dalla polizia senza motivo.
Possiamo ancora definire una democrazia uno stato che cerca di silenziare il dissenso con la paura?
Nelle nostre scuole circola spesso una retorica secondo cui i giovani oggi sono passivi, dipendenti dai social e disinteressati al mondo; ci risulta quindi molto bizzarro apprendere che diversi colleghi abbiano minacciato note disciplinari o valutazioni negative per gli studenti che ieri hanno deciso di partecipare al corteo. Troviamo questo atteggiamento molto grave e spia di una deriva sempre più autoritaria che si sta dando nelle aule del nostro paese. Pensiamo, infatti, che l’uso punitivo degli strumenti valutativi portato avanti, con sempre più frequenza, da presidi e professori stia rendendo la scuola un luogo ancor più chiuso a qualsiasi istanza e voce critica.
Perciò diamo la massima solidarietà e vicinanza a chi è sceso in piazza ed è stato manganellato e/o fermato dalle forze dell’ordine, come a chi viene punito e silenziato per il sostegno attivo alla causa palestinese e contro l’oppressione sionista, dentro e fuori dalle aule scolastiche, nella speranza di ricordare al mondo della formazione che la scuola, usando le parole di Dewey, svolge un ruolo centrale nel processo di costruzione della civiltà in quanto ha il compito e la possibilità di formare un’opinione pubblica consapevole e soprattutto critica.